“La tradizione del nuovo”
Rossi di Albizzate torna in Triennale-Milano con la sua “Triennale”

La mostra –
“La tradizione del nuovo”, un ossimoro che incuriosisce. Entriamo in Triennale Milano e veniamo catapultati negli anni ‘60. Un periodo fatto di grande fermento culturale, voglia di cambiamento, innovazione, nuovi materiali, nuove tecnologie, nuove visioni del futuro. Torniamo alla XIII esposizione Triennale del 1964 e appena varcato l’ingresso della mostra progettata dallo studio Zaven, troviamo un prodotto Rossi di Albizzate: la poltroncina Triennale disegnata dagli arch. Ammannati e Vitelli nel 1960.
La mostra “La tradizione del nuovo” fa parte della 23° Esposizione Internazionale e raccoglie opere, istallazioni e documenti del design italiano fra il 1964 (XIII Triennale: “Tempo libero”) e il 1996 (XIX Triennale: “Identità e differenza”). Partendo “dalla collezione di Triennale e dagli archivi delle passate Esposizioni Internazionali, racconta come il design italiano abbia sempre avuto un approccio coraggioso e dedicato all’esplorazione, abbia affrontato il non ancora conosciuto attraverso la ricerca”.
Link: https://triennale.org/eventi/la-tradizione-del-nuovo

La poltroncina “Triennale” –
Disegnata nel 1960 dagli arch. e coniugi Gianpiero Vitelli e Titina Ammannati per la Rossi di Albizzate, si inserisce nell’ottica delle sperimentazioni di nuove forme di utilizzo dei materiali, delle tecnologie e dell’interazione utilizzatore/prodotto.
Realizzata in multistrato curvato e tagliato, si inserisce in un contesto culturale di opposizione alle tendenze di derivazione scandinava e americana di utilizzo del multistrato curvato. Ne intraprende una ricerca indipendente tesa a valorizzarne il materiale. Le prime sperimentazioni partono utilizzando le scocche dei televisori già in produzione all’epoca. Gli architetti provano a tagliarle per creare prodotti funzionali. Nasce Baby Betta nel 1959, una linea di arredi per bambini prodotta dalla Rossi di Albizzate.
Da queste sperimentazioni nasce nel 1960 la poltroncina “Triennale” esposta poi proprio in Triennale-Milano nel 1964. I pannelli in legno che la costituiscono sono riconfigurabili e utilizzabili anche per creare prodotti differenti come una panca e una culla. L’assemblaggio del prodotto può essere fatto direttamente dall’utente per mezzo di un meccanismo ad incastro con sistemi di blocco attraverso dischetti in nylon. Un primordiale concetto IKEA che avrà più fortuna nei decenni successivi, ma che ha avuto un seme nella Rossi di Albizzate.


Gli arch. Ammannati & Vitelli –
L’architetto Vitelli nasce nel 1935 e già nel 1955, mentre ancora frequentava il corso di Architettura, inizia a collaborare con la Rossi di Albizzate. Una collaborazione fondamentale per lo sviluppo dell’azienda.
Se la prima fase progettuale è caratterizzata dalla figura del fondatore Giuseppe Rossi, la seconda fase è caratterizzata dall’arch. Vitelli a cui si affiancherà nel 1960 sua moglie Titina Ammannati.
Inizia un’era in cui il disegno del prodotto diventa decisamente più moderno. Si sperimentano soluzioni formali e tecniche ancora oggi innovative, e soluzioni che rappresentano il tempo che le ha generate come ad esempio il “Mobile Totale” del 1965 oggi presente nella collezione del Museo Pompidou di Parigi.
Di sperimentazione in sperimentazione dal 1964 la coppia di architetti, all’interno delle ricerche svolte dalla Rossi di Albizzate, inizia a testare il potenziale dello stampaggio a freddo del poliuretano. Solo nella seconda metà degli anni ’60 la Rossi di Albizzate troverà la miscela più indicata a garantire maggiore comfort e libertà formale e brevetterà la RoFoam. Dopo una prima sperimentazione su alcuni modelli del 1968, la Rossi di Albizzate, a loro firma, presenterà al mercato il sistemo modulare Grandangolo realizzato interamente con la tecnologia dello schiumato a freddo. Sarà il primo divano modulare schiumato a freddo al mondo. Un immenso successo aziendale.
Ammannati e Vitelli collaboreranno con la Rossi di Albizzate fino al 1971, anno in cui passeranno il testimone al promettente arch. Carlo Bartoli che diventerà poi Compasso d’Oro alla Carriera.
